Secondo i dati dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) del 2015, il 76,1% degli uomini in età lavorativa fa parte della popolazione attiva, mentre la percentuale è del 49,6% nel caso delle donne. Al ritmo attuale, avverte l'Onu, ci vorranno più di 70 anni per porre fine al divario salariale tra uomini e donne.

Ormai è un dato di fatto: Le donne guadagnano meno degli uomini e a ribadirlo è stato anche l’Onu che ha parlato di una situazione insostenibile. Secondo i dati oltre il il 23% in meno rispetto ai colleghi maschi. Secondo le Nazioni Unite, si tratta del più grande furto della storia.

L’Osservatorio Jopricing, che prende in esame la retribuzione lorda annua nel settore del privato, calcola la differenza nell’ordine del 12% dello stipendio, circa 3mila euro. Il consigliere dell’Organizzazione, Anuradha Seth ha detto in un convegno: “Non esiste un solo paese, nè un solo settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini”. Ricordiamo che questo enorme divario salariale è dovuto a numerosi fattori. Non solo in alcuni casi le dipendenti donne effettivamente hanno uno stipendio inferiore a quello degli uomini ma in molti casi, la loro condizione di donna in un modo o nell’altro le penalizza. Parliamo della gravidanza, della famiglia e delle ore in meno che lavora dopo la creazione di una famiglia, facendo così arricchire maggiormente gli uomini, sia il marito che i colleghi. Il divario salariale è dovuto anche l’accumulo di altri numerosi fattori come la sottovalutazione del lavoro delle donne alla mancata remunerazione del lavoro domestico, dalla minore partecipazione al mercato del lavoro al livello di qualifiche assunte.

Tra i membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), vi sono paesi con una differenza inferiore al 5% come Costa Rica o Lussemburgo e altri fino al 36% come la Corea del Sud. I confronti sono complicati, dal momento che i numeri cambiano a seconda della fonte e della metodologia, come visto sopra per il caso italiano. In Spagna, ad esempio, il divario è dell’11,5% secondo i dati del 2014 utilizzati dall’Ocse, e del 24% secondo i dati di un rapporto pubblicato un anno fa dal sindacato Ugt. Secondo i più recenti calcoli dell’Ocse, in Giappone il divario è del 25,7%, negli Usa del 18,9%, nel Regno Unito del 17.1%, in Germania del 15,7%. La differenza di salario tra uomini e donne si amplia generalmente in relazione all’età, soprattutto quando le donne hanno figli.

Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro del 2015, il 76,1% degli uomini in età lavorativa fa parte della popolazione attiva, mentre la percentuale è del 49,6% nel caso delle donne. Al ritmo attuale, avverte l’Onu, ci vorranno più di 70 anni per porre fine al divario salariale tra uomini e donne.

Secondo i dati dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) del 2015, il 76,1% degli uomini in età lavorativa fa parte della popolazione attiva, mentre la percentuale è del 49,6% nel caso delle donne. Al ritmo attuale, avverte l'Onu, ci vorranno più di 70 anni per porre fine al divario salariale tra uomini e donne.

Insomma, se la donna sta in casa non viene pagata, né dallo stato, né dal marito ma rispetto a tutti, però, è quella a dover faticare di più per riuscire a portare avanti una famiglia intera. Se la donna lavora, dovrà comunque rinunciare a una parte del suo stipendio per cercare aiuto per la manutenzione della casa e l’educazione dei figli. Se la donna va in maternità rinuncia anche ad una serie di opportunità di avanzare di carriera facilitando così i colleghi. Anche il welfare in questo caso ha un grande valore ed importanza nella nascita di questi dislivelli economici. Lo stato, infatti dovrebbe creare delle forme per agevolare le donne nel portare avanti sia il lavoro che la famiglia, costruendo, ad esempio, asili negli uffici, sviluppando lo smartworking da casa, e dando tutta una serie di agevolazioni per far si che anche le aziende sviluppino un senso di grande rispetto per il lavoro femminile.

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