sushi

Boom di ristoranti nelle città italiane, quasi sempre gestiti da cinesi. Tra pesci non tracciati e additivi chimici, come difendersi dalle truffe. Oggi un ristorante su dieci ha in menù piatti di sushi. Eppure, seconde le stime della Federazione italiana pubblici esercizi, di questi solo il 7% è a gestione giapponese.

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La stragrande maggioranza è in mano a cinesi. A Milano, capitale italiana del pesce crudo in salsa orientale, Tripadvisor recensisce oltre 500 locali di questo tipo. Ma le imprese individuali di ristorazione appartenenti a cittadini nipponici sono nove (quelle cinesi 473). A Roma 14 e a Torino 5.

Come riporta la Stampa.it, spesso il pesce che finisce nei menù di sushi non passa dai circuiti tradizionali. «I ristoratori orientali raramente comprano da noi», conferma Renato Malandra, medico veterinario dell’Ats che da trent’anni controlla il pesce del mercato ittico di Milano, il più grande d’Italia.

«È vero, alcuni hanno i loro fornitori. Il problema è che per l’approvvigionamento del prodotto ittico non seguono sempre il criterio della qualità, ma guardano quasi esclusivamente al fattore costo», conferma Giulio Tepedino, esperto di Eurofishmarket, azienda di consulenza nel settore ittico. «A volte capita, frequentando mercati all’ingrosso, di vedere operatori di ristoranti sushi acquistare i prodotti a fine giornata in modo da accaparrarsi il prezzo migliore».

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